mercoledì 30 gennaio 2013

Texas Fried Redneck Chicken...

Bello quando un film ti piglia. Soprattutto adoro quei momenti di confronto, in spazi chiusi, senza musica, in cui la tensione sale e sai che da un momento all'altro succede un casino ma non sai quando. Quando dici ok, ho capito dove vogliono andare a parare, ormai tutti sanno, tutti sono stati smascherati, ma si sa che c'è gente armata e perciò finirà tutto in merda. E tu stai lì, incollato allo schermo, e non vedi l'ora che tutto si risolva ma sei teso perché non sai come inizierà la fine. Mi piacciono queste scene perché in un panorama cinematografico in cui tendo a dimenticarmi il finale dei film dopo due giorni che li ho visti, qui ti si piglia per la manina, ti si dice "vieni bel bambino che ti faccio vedere una cosa" e tu hai voluto vederlo quel film perciò sono cazzi tuoi.
Eh, ma bisogna essere in gamba per creare queste empasse, stalli alla messicana prima solo psicologici ma che di colpo diventano tal quali. E a mio avviso William Friedkin ce l'ha fatta.


Premetto che non ho mai visto la rappresentazione teatrale di Killer Joe, perciò mi rifaccio unicamente alla pellicola datata ormai 2011 (un bel 'fanculo alla distribuzione italiana... così... perché a intervalli regolari ci vuole).

Ora, la sinossi si trova ovunque in giro, ma è meravigliosamente riassunta in questo manifesto:


Già, Killer Joe, checché ne dicano alcuni archivi, non è una commedia grottesca né tantomeno un crime-drama. E' piuttosto un noir, o meglio un redneck-noir, cioè (semplificando un po' grossolanamente) ambientato nel macro-insieme dei cosiddetti "bifolchi del sud", quella sottocultura fatta di salopette unte e consumate, di trailer park, di un senso di lontananza dal sogno americano, di provincialotti orgogliosi e indipendenti, ma parecchio ritardati e in quanto tali terreno fertile per truffe, perversioni, raggiri di ogni genere.
Qui in realtà siamo in Texas, di solito escluso dall'elenco degli stati che compongono la cintura più redneck, ma il concetto non cambia.

E per capire le peculiarità di KJ niente di meglio che spendere due parole su regista e personaggi.

William Friedkin, sì proprio quello de L'Esorcista (wow!) e sì, pure quello de Il Braccio Violento della Legge (super wow!) ma non andiamo oltre perché ha fatto anche delle boiate pallosissime, è un arzillo regista classe '35... "sticazzi" direte voi. Già, ma tutta la sua esperienza affiora in questa trasposizione del testo teatrale di Tracy Letts.
Nel suo KJ tutto è meravigliosamente al suo posto, tutto funziona come un orologino elvetico, nulla è lasciato al caso, tutto fluisce senza intoppi e distribuendo tensione e comicità senza che il ritmo ne risenta.
Persino la presenza-non-presenza e il peso dei due personaggi chiave è reso magnificamente senza che questi due quasi mai si vedano, o si intravedano solo quando è strettamente necessario: il fatto che Rex non si veda mai in faccia è ammirevole e tutto era costruito così bene che si l'inquadratura del cadavere nel portabagagli mi è sembrata fin troppo didascalica, si poteva tranquillamente evitare. La faccia dei due che ci guardano dentro era sufficiente. Questo espediente del personaggio cruciale che non si vede mai è tipicamente teatrale.
Ma se nelle lunghe scene in cucina e nell'esclusione volontaria di un eccessivo numero di comparse si riconosce l'attitudine al palcoscenico della storia, Friedkin mette tanto cinema nella creazione della location, un Texas inospitale, che mi ricorda tantissimo il Kentucky della serie "Justified": il concetto di redneck, come dicevo sopra, sfruttato con consapevolezza dai personaggi perché fondamentalmente qui siamo fuori dal mondo e si può fare un po' quello che si vuole. Ed infatti solo Dottie nella sua semi-innocenza ci trova qualcosa di buono...

- Do you like Texas? [...] it's really just a bunch of goddamn hicks and rednecks with too much space to walk around in!
- It's warm...

Ma non solo, la genialità di KJ è che tutti sono cattivi, non esistono buoni nel vero senso della parola. Forse Friedkin, dall'alto della sua esperienza, pecca in posatezza e controllo, ma a tale freddezza compensa lasciando liberi gli attori di fare a gara per starci sul cazzo, chi più chi meno, chi in un senso chi nell'altro.

McConny è grandioso. Lasciatelo libero di sfogare il suo accento del sud, di mettersi un cappello a tesa larga  e ti tira fuori una delle sue più fighe interpretazioni. Alterna freddi e posati monologhi, scatti d'ira, dolci sorrisi che ricordano il McConaghey delle Rom-Com (- "Who would like to say grace?"... geniale...). Sarà l'ambientazione... Si vede che si sente a casa. Joe Cooper fa il poliziotto e per arrotondare ammazza gente a 25 mila dollari a botta. Che volete, c'è crisi. E non c'è il minimo accenno alla dubbia moralità della cosa. Che uno ammazzi la gente per soldi è da tempo antologicamente accettato soprattutto in campo cinematografico e videoludico. Può sembrare banale: in Killer Joe, incredibile ma vero, Joe è un Killer, ma non è cattivo perché fa un (secondo) lavoro un tantino illegale. Ma perché lui è intelligente, figo, scaltro, attento, e non appena capisce che ha a che fare con una massa di rincoglioniti coglie l'occasione per unire l'utile al dilettevole e sfogare una serie di fantasie che chissà da quanto gli frullavano per la testa. Anche l'inflazionata scena del "chicken-job" non annoia (che scandalizzi manco lo prendo in considerazione... è una figata memorabile!!!) se vista in quest'ottica: non è una punizione inflitta, è come se incidentalmente, mentre smascherava la baldracca, si sia ricordato di aver sognato quella scena da ragazzino e dicesse "già che abbiam fatto trenta...". Insomma Matthew riempie le scene, ma riesce magicamente a lasciare agli altri tutto lo spazio di cui hanno bisogno e i duetti degli altri attori con lui sono il nervo della pellicola.

Advertising spaces...
Emile Hirsch è odioso e antipatico come la merda molle. Il suo personaggio evolve verso una prevedibile autodistruzione, resa visivamente dal crescendo delle botte che riesce a prendere. Insieme a Juno Temple ci regala l'unico momento di dolcezza della storia, con la passeggiata lungo le rotaie (simbolo di solito di spensieratezza giovanile) e per un attimo forse facciamo il tifo per lui, empatizziamo un minimo... ma no, sua sorella persa nel suo mondo ci riporta nella realtà e ormai è troppo tardi. Ci sta sul cazzo e basta. Ha messo in piedi un casino della madonna e ancora non si rassegna. Fa il figo. Ma non ci si rende conto di quanto sia odiato proprio da tutti fino al magico momento della zuppa di zucca in scatola...

Veniamo su a Gina "MILF" Gershon. E' ammirevole quando un'attrice non ha paura di presentarsi vera e sfatta, di interpretare una che si chiama Sharla, che potrebbe essere la classica ex-reginetta di bellezza dell'High-School che non è riuscita ad andarsene dal paesello, è invecchiata, si trascina qualche aggiustatina estetica fatta male, fa ancora la cameriera in una pizzeria, s'è sposata un troglodita e lo tradisce con uno più bello (?) e intelligente, perché in fondo non vuole ancora mollare, una speranza di cambiare vita ce l'ha. E nonostante questo è bella, di una bellezza che è tipica del luogo in cui si trova, del posto che occupa. Ma anche lei non è un personaggio positivo... e si tradisce malamente quando si scontra con la scaltrezza di Joe, un antagonista fuori dalla sua portata. Il suo "duetto" con Matthew è uno dei momenti migliori del film e mi riferisco anche al prima e al dopo, non solo al famoso "durante"...

Thomas Haden Church è il più lineare di tutti, ma riesce a non scadere nella macchietta, nonostante il rischio fosse grosso. Siamo ancora al discorso sull'esperienza, lui ce l'ha e si vede. Ansel è stupido, lento, capisce la portata del piano ma diffida perché il rischio più grosso sarebbe quello di perdere il suo status quo di mediocrità che sembra andargli anche bene. In fondo ha una moglie incredibilmente gnocca, ha tanta birra, ha un tv al plasma in cui guardarsi le gare dei Big-Foot... e mi fa morire quando proprio queste lo distraggono dal discorso di Joe costandogli caro. Ed è proprio Haden Church, con la sua barbetta che cresce un po' a cazzo a regalarci i migliori momenti comici.

Ed infine la Temple. Forse l'unico personaggio non propriamente cattivo, ma inquietante nel suo capire sempre tutto e tutti, nel conoscere sempre i piani e i sotterfugi nonostante la si tenga all'oscuro, ma in fondo inutilmente perché non se ne cura più di tanto. Dottie è un personaggio delicato e la Temple ne indossa i panni magistralmente, buttandoti lì una lolita tutta sua, gestendo le nudità e il rapporto con Joe in maniera disarmante. E la sua scena di sesso con McConaghey è... cazzo è la sua scena di sesso con McConaghey. Va vista. Mai immaginato che uno potesse scoparsi così la propria caparra...
Piccola nota: il personaggio di Dottie NON ha 12 anni, lo dice perché fa parte della fantasia in cui lui la guida in seguito al racconto di lei sul suo fidanzatino di scuola. Per esserne certi riguardatevi più volte quel momento... cosa non si fa per la correttezza narrativa!!! ;-P

Happy Southern Family. You can see it in their faces!
C'è tutto. C'è un po' dei Coen, un po' di Vincent Gallo, un po' di Tarantino, ma siccome Friedkin faceva cinema mentre i suddetti ancora se la facevano nei pannolini vedete un po' voi chi ispira chi. C'è la dissacrazione di tutti i simboli americani. C'è la patata di Gina Gershon, il culo di Matthew, Juno Temple nuda e Thomas Haden Church con uno di quei pigiamoni bianchi tipicamente sudisti. C'è una storia, c'è sesso, un po' di sangue (la maggiorparte sul personaggio di Chris, quindi va benissimo), c'è tensione, ci sono risate cattive.

Un film cazzuto, pieno, bello. Non per tutti, ma per noi sì!!!

McConny e il suo pistolone...

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